Guida operativa di Consueling al familiare e al personale della struttura sanitaria

Potrebbe sembrare scontato pensare che l’ingresso di un paziente in una struttura geriatrica comunitaria, definita “RSA”, avverrà in modo sereno in un contesto di sinergia tra i familiari ed il personale.

In realtà non è raro che un grandissimo dispendio di energia sia speso in una relazione spesso poco costruttiva, talvolta di antagonismo, tra i due attori: parente ed operatore della struttura.

Collaborare sì, scontrarsi no

Nel lavoro in RSA sono previste, per gli operatori sanitari, molte occasioni di scambio verbale, counseling, accompagnamento ed informazione nei confronti del familiare, col quale relazionarsi in una chiave di lettura di empatia e professionalità.

Tuttavia, è possibile empiricamente osservare come sovente avvenga una dispersione di tempo importante, che inevitabilmente può andare a interferire sulla serenità dell’attività lavorativa del reparto nel quale il paziente è residente, a scapito del suo benessere.

Le cause di tal “frizioni” vanno ricercate nelle aspettative e nel processo di accettazione della patologia del proprio caro da parte dei parenti e nel limite del burn-out e dell’oggettività tecnica del personale della struttura.

È fondamentale perciò per le figure coinvolte in questo processosiano consapevoli. Dovranno sapere affrontare nel migliore dei modi le domande più frequenti derivanti da insicurezze e paure che l’impatto dell’istituzionalizzazione può creare, prevenendo un inutile clima di antagonismo e scontro.

I principali dubbi dei familiari dopo il ricovero di un caro

Quali sono le domande che maggiormente vengono rivolte dalla figura del parente?”.

Cosa viene fatto col mio caro, perché gli viene fatto, ed infine come mai un’altra azione (pensata o vista eseguire per altri pazienti) non viene svolta col mio.

Queste sono le tre domande che emergono in seguito a una serie di 100 interviste raccolte in 18 RSA nel Nord Italia.

Il tutto è sicuramente la manifestazione di uno stato emotivo e di una angoscia ricorrente: l’attenzione verso la cura e la qualità del tempo del proprio familiare assistito in RSA.

Tra tutte, esiste una specifica domanda che merita un’attenzione prioritaria ed un’urgente segnalazione di presa in carico, per la sua importanza vitale: “Perché il mio caro rifiuta di mangiare e/o bere e/o assumere la terapia?”.

Disidratazione e malnutrizione nelle RSA si è calcolata essere causa di decesso tra il 4,095% ed il 53,55% della popolazione degli anziani istituzionalizzati, in media circa 1 ospite di casa di riposo su 3. (Leggi anche Prevenire e trattare la malnutrizione nell’anziano).

Diventa quindi fondamentale un metodo che indaghi ad-personam le cause del rifiuto del cibo e che proponga percorsi riabilitativi all’accettazione del pasto, atti ad intervenire sul digiuno in modo strutturato. E a dare una risposta esauriente e competente ai famigliari.

Alcuni esempi di domande e di possibili scenari per i famigliari e il personale della struttura

Perché il cibo nella RSA non è di qualità?

Per il familiare

Non bisogna mai cedere alla tentazione di identificare la cucina come un “nemico” che, quasi a priori, sembra essere facilmente etichettato come “scadente”.

Il personale della cucina, sulla base degli ingredienti forniti, si impegna nella preparazione  di un pasto congruo alle indicazioni dei tecnici dell’alimentazione (nutrizionista, medici, logopedista).

In una struttura comunitaria, è intuibile che l’alimento non sia equiparabile a quello preparato per un singolo individuo con risorse maggiori, come al ristorante o nel proprio domicilio. Di questo bisogna esserne consapevoli e segnalare le carenze sulla preparazione del piatto limitandole alle reali criticità (es. porzioni crude, che mettono in difficoltà nella masticazione, sgradevoli o avariate ecc.). Le indicazioni saranno preziose in un’ottica di miglioramento e non di penalizzazione.

Per il personale

Laddove ci sia una reale e sincera volontà di migliorare il servizio della cucina, è necessario che l’equipe assistenziale, in primis l’OSS, metta in discussione le proprie lecite critiche in modo costruttivo e dinamico.

Innanzitutto, è necessario mettere in discussione la propria soggettività, rapportando il giudizio di quanto giunge in reparto con la realtà comunitaria, per natura secondaria a risorse non illimitate.

In secondo luogo, può essere utile un questionario per intervistare gli ospiti “lucidi” ed i care-givers dei pazienti non responsivi, attorno ai loro piatti preferiti e/o abitudinali del vissuto, al fine di trovare una rosa di alimenti evocativi e ben accetti.

Infine, la presentazione della portata è essenziale.

Partendo dal concetto che un piatto lo si assapora con gli occhi prima ancora che con l’olfatto ed il gusto, gioca un ruolo essenziale il “come” si propone la pietanza. Ben preparata nel vassoio, invitante ed armonica, da elogiare e rendere più appetente all’anziano con elogi. Ovviamente, è proibito manifestare una propria critica davanti al paziente stesso.

Perché i liquidi sono addensati?

La scelta comune di addensare i liquidi deriva esclusivamente da una diagnosi di disfagia (leggi anche l’interessante articolo “Disfagia in RSA“), vale a dire di difficoltà nella deglutizione.

Quando un individuo deglutisce del cibo, dei muscoli chiamati “aritenoidi”chiudono le vie aeree impedendo al bolo di “andare di traverso”.

Al di là di altre cause (demolitive, iatrogene ecc.) spieghiamo che tali muscoli possono essere rallentati nell’anziano, chiudendo le vie aeree più lentamente a fronte dei liquidi.

Il rischio è tosse, sensazione di annegamento/soffocamento e febbre potenzialmente fatale. Per rallentare questi fluidi, li si rendono più densi, dalla consistenza di sciroppo a crema, a seconda del grado di disfagia.

Per il familiare

La scelta di addensare i liquidi è quindi una misura preventiva in ospiti con diagnosi di disfagia.

È comprensibile che il familiare tenda ad identificarsi nel paziente, e possa esprimere disgusto verso un fluido che può apparire viscido e non appetente.

Ma se tale procedura è stata prescritta, va assolutamente rispettata.

L’invito rimane, appunto, quello di richiedere un appuntamento col professionista per avere informazioni sulle cure del proprio caro, tramite ciò che viene definito “Counselling”.

Per il personale

L’invito al personale della struttura RSA è quello sia di attenersi scrupolosamente alle indicazioni del logopedista, e contemporaneamente ad avere attenzione ai casi estemporanei critici.

In particolar modo è necessario rispettare i tempi del processo fisico di addensamento del liquido, indicato sulla confezione, che generalmente non supera i 3 minuti di attesa.

La tentazione di abbondare con l’addensante per avere un effetto immediato crea non pochi problemi. Dall’incremento della stipsi (depositando addensante nelle viscere senza una valida necessità) allo spreco del prodotto, sino ovviamente ad ottenere brevemente una soluzione più densa del necessario e forse meno appetente.

Si sottintende quindi che siano rispettate le norme primarie.

I liquidi addensati, nei limiti delle concessioni cliniche, possono essere resi più gustosi con aggiunta di aromi quali succhi di frutta o tisane fresche (per evitarne la liquefazione), o gli stessi possono essere direttamente la bevanda da addensare.

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Si possono lasciare le caramelle?

Lasciare cibo in struttura, senza autorizzazione, è una cosa assolutamente vietata. Il personale deve avere piena consapevolezza di quanti e quali alimenti e bevande siano presenti in reparto ed in quale luogo siano conservati, per questioni igieniche ma soprattutto di sicurezza per gli ospiti. In particolar modo le caramelle, troppo spesso lasciate con superficialità confondendo il gesto come innocuo, possono rappresentare un grosso pericolo in caso di disfagia, voracità e/o diabete.

Per il familiare

Il familiare non deve lasciare assolutamente caramelle all’ospite. Esse infatti possono essere sottratte da altri pazienti (anche in casi di lucidità) mettendo gli stessi a rischio.

Gravissimo è il caso in cui un esterno proponga alimenti a pazienti sconosciuti.

Importante ricordare infine come esistano altre pietanze, come budino per diabetici, fruttini con fibre ecc., che possono essere altrettanto graditi dall’anziano. Questi hanno una maggiore probabilità sia di essere concessi dall’equipe che di limitare danni nel caso in cui finissero alla portata di terzi. La caramella fa parte di quegli alimenti all’apparenza innocui, ma in realtà molto pericolosi.

Per il personale

È dovere del personale RSA segnalare e sottrarre qualsiasi alimento esterno trovato in struttura. Le caramelle ed i dolciumi in genere sono conservabili in cassetti e nascondigli della camera, perciò, per i rischi clinici ad essi legati, sarà indispensabile un’accurata ricerca quando sorge il sospetto siano impropriamente presenti.

Il personale dell’RSA, quando e se ne riceverà permesso, potrà conservare i confetti e le varie pasticcerie portate dalla famiglia e somministrarli con orari e modalità precise. Facendo però attenzione non solo ai limiti alimentari ma anche di sensibilità verso altri ospiti che possono sentirne la mancanza se proibiti.

Le caramelle non sono dunque vietate a priori, ma necessitano di una grandissima cura nello strutturare il momento del loro consumo.

Perché devo rispettare gli orari di visita?

Gli orari di visita sono pensati affinchè certi momenti delicati della giornata (es. igiene, pasto…) siano ridotti nei fattori di disturbo, confusione e novità, per permettere la concentrazione, da un sereno lavoro del personale ad un ambientamento costante del paziente in uno spazio collettivo.

Tali restrizioni possono essere rotte solamente in casi eccezionali, quali le condizioni di fine vita e terminalità.

Non è altrettanto lecito, invece, rompere la ritualità nei casi in cui il familiare non riesca a rispettare gli orari indicati. Per quanto sia comprensibile il disagio, non va scordato che è l’assistenza a dover adattarsi all’ospite anziano, e non il contrario.

Pertanto anche il familiare è tenuto a rispettare le regole della struttura e farne fronte, per non compromettere la difficile armonia che è cura dei professionisti creare e mantenere.

Per il familiare

Il rispetto degli orari di visita è importante nel riguardo dell’ospite e del personale, nonché del delicato ruolo che ricopre.

Eventuali necessità possono essere concordate con direzione ed equipe, tali da creare momenti protetti, nei quali la visita fuori orario garantisca che non vi siano interferenze con quanto sia in corso.

Infatti, anche se non è sempre evidente, esistono spazi temporali nei quali un fattore esterno è di grave disturbo. Si pensi alla distrazione durante un trattamento linguistico (nel quale un semplice “Buongiorno” può diventare ecolalia per il resto della terapia), la rilevazione dei parametri vitali, il rischio clinico di distrazione del sanitario…

Per il personale

È comprensibile che la visita inaspettata di un familiare in un momento non concesso risulti cosa avvilente, perché quasi può far pensare una messa in dubbio del rispetto della propria professionalità.

È necessario approcciarsi lo stesso all’individuo intrusosi (probabilmente in buona fede o ingenuità) con empatia e fermezza, segnalando alla direzione se il caso diventasse recidivo e provvedendo a prevenirne il ripetersi.

Casi nei quali, invece, è più probabile una mancata comunicazione possono essere sospettati in quadri di fine vita, terminalità o agonia. È comunque buon costume, negli spazi temporali di visita, avere dolcezza verso il parente, offrendo una bevanda e comunicando fiducia e considerazione.

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Nel lavoro in RSA sono previste, per i componenti dell’equipe interdisciplinare, occasioni di scambio verbale, counseling, accompagnamento ed informazione verso il familiare, col quale relazionarsi in una chiave di empatia e professionalità.
Tuttavia, è possibile osservare come sovente avvenga una dispersione di tempo importante, legata a tali confronti.  

Ciò può interferire sulla serenità dell’attività lavorativa del reparto nel quale il paziente è residente, a scapito del suo benessere.
Le cause di tale evento vanno ricercate nelle aspettative e nel processo di accettazione della patologia del proprio caro, da parte dei parenti, e nel limite del burn-out e dell’oggettività tecnica del personale della struttura.
Per tali ragioni, si propone un’argomentazione delle più frequenti domande secondarie ad insicurezze e paure che l’impatto dell’istituzionalizzazione può creare. Obiettivo è prevenire un clima di antagonismo, scontro ed inutile dissipazione di risorse, con la finalità di giungere ad una competente consapevolezza.

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