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BENESSERE E STRATEGIE D’INCREMENTO DELLA PERFORMANCE SPORTIVA E DEL GRUPPO

Nelson Mandela, grande leader, amante dello sport, promotore di pace e integrazione etnica, fautore di cambiamenti epocali, ha detto:

«Lo sport ha il potere di cambiare il mondo. Ha il potere di suscitare emozioni. Ha il potere di unire le persone come poche altre cose al mondo. Parla ai giovani in un linguaggio che capiscono. Lo sport può creare speranza, dove prima c’era solo disperazione. È più potente di qualunque governo nel rompere le barriere razziali. Lo sport ride in faccia ad ogni tipo di discriminazione».



COMPETIZIONE? UN ISTINTO CHE VIENE DA LONTANO


L’essere umano ha il 40% di patrimonio genetico in comune con alghe unicellulari (creature fondamentali per mantenere l’omeostasi e quindi l’equilibrio dell’ecosistema in cui vivono) e ne condivide il 99% con gli scimpanzé bonobo, mammiferi in grado di usare utensili.

Infatti tra gli scimpanzé bonobo regna la competizione sia nel branco, per stabilire una gerarchia, sia con individui esterni contro cui conducono vere e proprie azioni di guerra, usando anche bastoni e pietre come armi.

L’uomo, come i bonobo, tende a competere per adattarsi all’ambiente, per adattare a sé l’ambiente, per prevalere sugli altri a livello territoriale e prestazionale. E in modo più raffinato rispetto agli scimpanzè, arriva a competere in politica, nel lavoro, nello sport.


ESSERI INDIVIDUALI O SOCIALI?


Alcuni mammiferi conducono la propria esistenza prevalentemente in modo individuale. Tigri e orsi, ad esempio, si uniscono solo per l’accoppiamento e poi si separano. È solo la madre a provvedere alla cura della prole.

Un maschio, spinto dal proprio egoismo genetico, se individua una femmina con un cucciolo concepito con un altro maschio, può tentare di uccidere il piccolo per far sì che la femmina vada di nuovo in calore. Così può avere l’opportunità di accoppiarsi con lei per trasmettere i propri geni all’eventuale nuovo nato.

Altri mammiferi, tra cui l’uomo, conducono invece un’esistenza molto ricca da un punto di vista sociale.

Tra i mammiferi sociali come l’uomo, il nucleo della relazionalità intraspecie è proprio la coppia. Poi le relazioni si allargano a nucleo familiare, famiglia estesa, tribù, gruppo lavorativo, sportivo, politico, religioso, linguistico, etnico ecc.

Le cure parentali sono spesso condivise tra maschio e femmina e il branco stesso può contribuire ad alimentazione, cura, educazione e sicurezza dei piccoli. Il gruppo garantisce protezione genetica, sopravvivenza dell’individuo, conservazione ed evoluzione della specie.


OTTIMIZZARE LA PERFORMANCE SPORTIVA E IL GRUPPO


Molti studi hanno dimostrato gli effetti negativi degli atteggiamenti razzisti sulla prestazione sportiva.

Diverse altre ricerche hanno invece evidenziato in quanti modi lo Sport, gestito in maniera adeguata, è in grado di risolvere l’irrazionalità del pregiudizio, favorendo il reciproco arricchimento di atleti le cui origini e caratteristiche sono anche molto differenti tra loro.

Una società con meno conflitti ha più alleanze: si disperdono e distruggono meno energie e si produce più benessere condiviso ad ogni livello, culturale, economico, sanitario.

Conoscere le basi biologiche e le neuroscienze applicate alla prevenzione, terapia e ottimizzazione dell’attività fisica e sportiva aiuta ad arricchire le competenze e abilità professionali utili per la gestione dello stress quotidiano e lavorativo e per migliorare la prestazione e il recupero fisico e psichico.

Argomento utile per le figure professionali che orbitano in ambiti quali la medicina e la psicologia del lavoro, la riabilitazione, l’alimentazione, la bioenergetica, la gestione dei gruppi, il fitness e altro ancora.


BENESSERE E STRATEGIE D’INCREMENTO DELLA PERFORMANCE SPORTIVA E DEL GRUPPO. Approfondisci il tema di questo articolo con un corso specialistico ECM FAD da 25 crediti


Questo corso ECM dal titolo BENESSERE E STRATEGIE D’INCREMENTO DELLA PERFORMANCE SPORTIVA E DEL GRUPPO – FILOGENESI E BASI BIOLOGICHE DELL’ATTIVITÀ FISICA E SOCIALE , a cura del Dott. Marco Sammarco, nasce all’interno del materiale formativo teorico e pratico del “Master di Psicologia dello Sport e delle Attività Motorie – Verso i Giochi del Mediterraneo di Taranto 2026”.

Per onorare questo importante evento che coinvolge nazioni da tre continenti, il Master è stato organizzato dall’Associazione Medico Sportiva Dilettantistica di Taranto presso il Centro di Medicina dello Sport affiliato CONI e FMSI, Federazione Medico Sportiva Italiana.

Il Master gode, tra gli altri, dei patrocini del CONI regionale, dell’Ordine dei Medici di Taranto e della SPOPSAM, Società Professionale degli Operatori in Psicologia dello Sport e delle Attività Motorie, unica del settore con riconoscimento europeo.

Questo specifico FAD ha l’obiettivo di fornire un upgrade strategico alle figure sanitarie che sono interessate ad arricchire le loro competenze e abilità professionali con le indispensabili conoscenze dei correlati inerenti le basi biologiche e le neuroscienze applicate alla prevenzione, alla terapia e all’ottimizzazione dell’attività fisica e sportiva.

Le tematiche e le tecniche pratiche trattate sono altresì utili per la gestione dello stress quotidiano e lavorativo e per migliorare la prestazione e il recupero fisico e psichico. Tornano quindi di interesse anche per le figure professionali che orbitano in ambiti quali la medicina e la psicologia del lavoro, la riabilitazione, l’alimentazione, la bioenergetica, la gestione dei gruppi, il fitness e altro ancora.

Cliccando QUI potrai accedere a questo corso ECM FAD che potrai seguire ONLINE e del quale potrai scaricare o ricevere il certificato via email.

Il corso è così suddiviso:

MODULO 1 – INTRODUZIONE AI RUDIMENTI DELLA MATERIA
· FILOGENESI, BASI BIOLOGICHE, ETOLOGIA E NEUROSCIENZE
· OMEOSTASI, EPIGENETICA, FIBRE MUSCOLARI E MOTONEURONE
· INDIVIDUO, AMBIENTE E PRESTAZIONE
· BIOLOGIA, GENETICA, ADATTAMENTO E SPORT
· SVILUPPO DELLA DEAMBULAZIONE E DEL CERVELLO
· EVOLUZIONE, SENSORIALITÀ, SISTEMA TONICO POSTURALE (STP)
· CIRCOLO VIZIOSO E CIRCOLO VIRTUOSO NEI GENI, IN AMBITO BIOLOGICO E NEL PENSIERO
· EGOISMO GENETICO E CONNESSIONE TRA GLI ISTINTI
· CENESTESI, BASI BIOLOGICHE DEL PENSIERO FINALIZZATO, PENSIERO DISFUNZIONALE
· FUOCO, EVOLUZIONE, ARMI E COMPORTAMENTO COMPETITIVO
· IL CONTRIBUTO DELLE DONNE A LINGUAGGIO, AGRICOLTURA E SOCIETÀ
· EFFETTI CLIMATICO-AMBIENTALI SULLA RAZZA UMANA, PROGETTO GENOMA
· SCRITTURA, SPORT, PSICHE E POTERE, L’ESEMPIO DI SPARTA
· INTENZIONE, LEGGE IDEOMOTORIA, NEURONI SPECCHIO
· NEVROSI, PSICOSI, PENSIERI, NEURONI E PAROLE
· NEUROSCIENZE, SERENDIPITÀ, MINDFULNESS, RESILIENZA

MODULO 2 – BASI BIOLOGICHE, GRUPPO, LEADER, INCLUSIONE ETNICA E DIVERSABILITÀ NELLA VITA E NELLO SPORT: STRATEGIE DI OTTIMIZZAZIONE DELLE RELAZIONI E DELLA PERFORMANCE
· COMPORTAMENTO INDIVIDUALE E SOCIALE
· L’ANALISI DI UN GRUPPO
· BASI BIOLOGICHE E LEADERSHIP
· EFFICACIA DEGLI STILI DIRETTIVI
· SPORT FOR PEACE AND DEVELOPMENT, GENOMA ED ENDORFINE
· DIVERSABILITÀ E GIOCHI OLIMPICI
· ABILITÀ MOTORIE, AMBIENTE, CLOSED SKILL, OPEN SKILL
· TECNICHE POSTURALI STATICHE DI BASE PER ESERCIZI DI MINDFULNESS,
RESPIRO, RILASSAMENTO, IMAGERY E STATUS ALFAGENICO
· ATTIVAZIONE VAGOTONICA, MODULAZIONE DEL RESPIRO, CONSAPEVOLEZZA CORPOREA (2 VIDEO CON ESERCIZI PRATICI)
· FIVE-STEP STRATEGY CANONICA
· FIVE-STEP STRATEGY IMMAGINATIVA E TECNICHE DI IMAGERY
· AROUSAL E LEGGE DELLA U CAPOVOLTA
· IMAGERY: FIVE-STEP STRATEGY E TIRO CON L’ARCO (CONDUZIONE ED ESERCITAZIONE PRATICA IN AUDIO)
· QUANTO OSARE

QUESTIONARIO DI VALUTAZIONE FINALE

Il corso è perfettamente compatibile con tutti i dispositivi e device.

La prova di apprendimento potrà essere effettuata al termine del corso, dopo aver seguito le lezioni.

La prova di apprendimento consisterà in un questionario composto da 75 domande.

La soglia di superamento prevista è del 75%. E’ prevista una doppia randomizzazione delle domande.

SONO POSSIBILI 5 TENTATIVI

Il corso darà diritto a ben 25  crediti ECM previo superamento del prova finale.


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CURARE IL DOLORE: L’AZIONE DEI FARMACI E DELLA RELAZIONE NEL TRATTAMENTO DEL DOLORE

CONOSCERE IL DOLORE PER CURARLO


Il dolore è un’esperienza soggettiva e complessa, ma è anche un’esperienza comune agli esseri viventi e organizzata in maniera specifica a livello organico.

Per curare il dolore è necessario conoscere il dolore, come si manifesta, come si trasmette, attraverso quali vie e quali centri, ma anche creare il contesto adeguato per favorire le risorse personali di fronteggiamento del dolore.



PERCHE’ CURARE IL DOLORE?


  • Perché è un problema sanitario a livello globale
  • Perché ne soffre il 26% della popolazione italiana (Breivik et al. 2009) con un costo di circa 6,8 milioni di euro (2003)
  • Perché il controllo del dolore non solo è efficace sugli outcomes clinici ma anche sulla risposta terapeutica della patologia di base con un impatto importante sulla qualità della vita e sulle invalidità secondarie
  • Perché i pazienti ospedalizzati in area medica sperimentano dolore in percentuale che varia tra il 40 e il 63% (Costantini et al. 2010)
  • Perché è frequente nel paziente oncologico: Fasi iniziali 20-50%; Fase terminale 90%.
  • Perché il 50% degli operatori sanitari non considera la qualità della vita una priorità della cura globale del paziente (Costantini 2010).
  • Perché la Legge N.38/2010 Art. 8 identifica come obbligo la formazione e aggiornamento medico e infermieristico in materia di cure palliative e terapia del dolore

MEDICI E DOLORE


Il medico ancora oggi é portato a considerate il dolore un fatto secondario rispetto alla patologia di base cui rivolge la maggior parte dell’attenzione e questo atteggiamento può estendersi anche ad altre figure coinvolte nel processo assistenziale. Ciò implica che la rilevazione del dolore divenga costante al pari di altri segni vitali quali la frequenza cardiaca, la temperatura corporea, la pressione arteriosa fondamentali nella valutazione clinica della persona.

Le linee guida contengono indicazioni relative al processo di educazione e formazione continua del personale di cura operante nelle strutture sanitarie ed alla informazione e sensibilizzazione della popolazione.

Che i pazienti ed i medici lo riconoscano o no, i fattori psicologici nel dolore sono sempre presenti. Essi possono essere ignorati, sebbene i loro effetti sul dolore possano essere molto forti, oppure possono essere trattati sistematicamente in modo tale da ottenere il massimo effetto.


CURARE IL DOLORE: L’AZIONE DEI FARMACI E DELLA RELAZIONE NEL TRATTAMENTO DEL DOLORE. Approfondisci il tema di questo articolo con un corso specialistico ECM FAD da 15 crediti


Questo corso ECM dal titolo CURARE IL DOLORE: L’AZIONE DEI FARMACI E DELLA RELAZIONE NEL TRATTAMENTO DEL DOLORE , a cura del Dott. Marco Pastorini, Dott. Stefano Quaini nasce dalla consapevolezza che il dolore sia un’esperienza soggettiva e complessa, ma è anche un’esperienza comune agli esseri viventi e organizzata in maniera specifica a livello organico.

Per curare il dolore è necessario conoscere il dolore, come si manifesta, come si trasmette, attraverso quali vie e quali centri, ma anche creare il contesto adeguato per favorire le risorse personali di fronteggiamento del dolore.

In questo corso presenteremo le basi organiche e neurobiologiche del dolore, il ruolo degli aspetti soggettivi e psicologici, l’importanza dell’effetto placebo e delle tecniche farmacologiche e anestesiologiche nella cura del dolore.

Cliccando QUI potrai accedere a questo corso ECM FAD che potrai seguire ONLINE e del quale potrai scaricare o ricevere il certificato via email.

Il corso è così suddiviso:

1)    Definizione e glossario dei termini, variabili che influenzano il dolore

2)    Cure palliative e terapia del dolore: normativa di riferimento

3)    Il dolore è un’esperienza: parole, significati e metafore

4)    Tipi di dolore: acuto, cronico, ecc.

5)    Basi neurofisiologiche del dolore: come si trasmette il dolore

6)    La modulazione del dolore

7)    Dolore nocicettivo e neuropatico

8)    Il dolore oncologico

9)    Trattare il dolore

10) La gestione farmacologica del dolore

11) L’effetto placebo

12) Come aumentare la tolleranza al dolore: strategie non farmacologiche e comportamentali

13) Conclusioni: dolore e relazione di cura

14) Appendice: questionari di rilevazione e valutazione del dolore

QUESTIONARIO DI VALUTAZIONE FINALE

Il corso è perfettamente compatibile con tutti i dispositivi e device.

La prova di apprendimento potrà essere effettuata al termine del corso, dopo aver seguito le lezioni.

La prova di apprendimento consisterà in un questionario composto da 45 domande.

La soglia di superamento prevista è del 75%. E’ prevista una doppia randomizzazione delle domande.

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CRAMPI MUSCOLARI ASSOCIATI ALL’ESERCIZIO FISICO

I CRAMPI NEGLI SPORTIVI


I crampi “localizzati” “acuti” possono essere identificati negli sportivi come una sindrome “prodromica”, caratterizzata da una manifestazione clinica non specifica che determina una contrazione muscolare anomala e che si verifica di solito verso la fine di una competizione, seguito da dolore muscolare e affaticamento nelle regioni muscolari di tipo biarticolare.

Un atleta incline ad avere crampi ha elevate possibilità di avere delle lesioni o degli infortuni ai legamenti e ai tendini.



LE CAUSE


I crampi muscolari associati all’esercizio fisico (EAMC) sono una condizione dolorosa comune degli spasmi muscolari. Nonostante le ricerche scientifiche abbiano cercato di comprendere il meccanismo fisiologico alla base di questi fenomeni comuni, l’eziologia non è ancora chiara.

Dal 1900 ad oggi, il mondo scientifico ha ritrattato più volte l’ipotesi originaria dei crampi da calore.

Allo stato attuale le ricerche scientifiche e la recente letteratura sembra concentrarsi su due principali meccanismi:

  • il meccanismo di disidratazione o deplezione degli elettroliti
  • il meccanismo neuromuscolare.

L’analisi della letteratura più recente indica che l’ipotesi neuromuscolare può prevalere sull’ipotesi iniziale della disidratazione come evento scatenante di crampi muscolari.

Dalle ultime indagini sembra esserci un coinvolgimento spinale piuttosto che un’eccitazione periferica dei motoneuroni.


STRATEGIE


Esiste una lunga storia di rimedi popolari per il trattamento o la prevenzione dei crampi; alcuni possono ridurre la probabilità di alcune forme di crampi e ridurne l’intensità e la durata, ma nessuno è costantemente efficace.

Sembra probabile che ci siano diversi tipi di crampi con diverse cause di insorgenza.
In tal caso, è improbabile che la ricerca di un’unica strategia di prevenzione o trattamento abbia successo.

Le strategie di trattamento e prevenzione per EAMC includono:

  • esercizi correttivi
  • stretching
  • integratori alimentari e massoterapia
  • induzione di crampi elettrici
  • kinesio taping e indumenti compressivi
  • idratazione elettrolitica
  • succo di sottaceto
  • strategie di iperventilazione

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Questo corso ECM dal titolo CRAMPI MUSCOLARI ASSOCIATI ALL’ESERCIZIO FISICO, a cura del Dott. Claudio Zimaglia

Il corso vuole approfondire le eziologie e i metodi di prevenzione e trattamento riguardo i crampi nello sportivo secondo una revisione della letteratura degli ultimi decenni. 

Il corso viene sviluppato prendendo in esame le teorie più accreditate sulle cause che possono favorire l’insorgenza dei crampi negli atleti e sulle strategie di trattamento e di prevenzione. 

Nel corso sono anche presenti dei video per illustrare al meglio l’esposizione dell’argomento

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QUESTIONARIO DI VALUTAZIONE FINALE

Il corso è perfettamente compatibile con tutti i dispositivi e device.
La prova di apprendimento potrà essere effettuata al termine del corso, dopo aver seguito le lezioni.
La prova di apprendimento consisterà in un questionario composto da 30 domande a risposta multipla con 4 possibilità di risposta di cui una sola giusta.
La soglia di superamento prevista è del 75%. E’ prevista una doppia randomizzazione delle domande.

SONO POSSIBILI 5 TENTATIVI

Il corso darà diritto a ben 10  crediti ECM previo superamento del prova finale.


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IL COLPO DI FRUSTA E I DISORDINI ASSOCIATI – linee guida di trattamento

COLPO DI FRUSTA UNA SFIDA INTERDISCIPLINARE


Il colpo di frusta cervicale rappresenta la sfida interdisciplinare per antonomasia.

Questo perché diversi fattori contribuiscono a creare un quadro estremamente variabile e difficilmente categorizzabile. Questo si riflette nella terminologia usata per definirlo, così come sui sistemi di classificazione usati per categorizzarlo.

L’etichetta “colpo di frusta” è stata coniata da Crowe nel 1928. Riprende l’onomatopea di una frusta che dovrebbe richiamare la genesi dell’infortunio. In Italia è spesso indicato come “cervicalgia post-distorsiva”.

Mentre la prima opzione riprende il semplice meccanismo traumatico, la seconda racchiude la condizione sotto un “termine ombrello” che rischia di essere troppo generico, richiamando la sola genesi traumatica.

Una terminologia di questo tipo rischia di minimizzare il complesso quadro interdisciplinare che può manifestarsi in questi pazienti.

Il collo è sede di un compartimento viscerale ricco, poco protetto e delicato.
Dal punto di vista ortopedico, la colonna cervicale sebbene potenzialmente a rischio con la sua componente osteo-legamentosa, può coinvolgere a vario grado anche il midollo spinale e le radici nervose, nonché la componente vascolare vincolata ai forami trasversari.



SINTOMI DEL COLPO DI FRUSTA


Il meccanismo traumatico dell’infortunio può dar vita ad un vero e proprio trauma celebrale “senza contatto” che può essere alla base della sintomatologia centrale riferita da alcuni pazienti.

I sintomi associati al colpo di frusta cervicale sono vari e possono
combinarsi tra loro in diversi modi:

  • Ortopedici: Dolore e limitazione funzionale
  • Neurologici: Parestesie
  • Audiologici: Tinnito ed ipoacusia
  • Otorinolaringoiatrici: Disfagia e disfonia
  • Disturbi dell’equilibrio: Vertigini ed instabilità posturale
  • dontoiatrici: Dolore temporo-mandibolare e malocclusioni
  • Neurofisiologici: Disturbi d’ansia e disturbi dell’attenzione.

IL PERCORSO RIABILITATIVO


Con modi, metodi, tempi ed impegno diverso a seconda dello stadio del disturbo, il percorso riabilitativo di un paziente affetto da WAD si snoda attraverso dei principi fondamentali:

  • Informare il paziente sulla natura benigna dei WAD
  • Incoraggiare il paziente a riprendere un normale stile di vita
  • Evitare l’immobilizzazione
  • Ridurre la reattività e migliorare il ROM
  • Ristabilire un corretto controllo motorio cervicale
  • Trattamento interdisciplinare

Nessun trattamento “vestirà alla perfezione” il disturbo di ogni paziente. Ci si muove tra questi ambiti con il conforto dei risultati della valutazione funzionale e dei fattori prognostici rilevati durante la valutazione iniziale.


IL COLPO DI FRUSTA ED I DISORDINI ASSOCIATI. Approfondisci con un corso specialistico ECM FAD da 10 crediti


Questo corso ECM dal titolo IL COLPO DI FRUSTA E I DISORDINI ASSOCIATI – linee guida di trattamento
a cura del Dr. Ivan Di Francescantonio parte dal presupposto che il colpo di frusta cervicale sia un trauma frequente che per la delicatezza e la complessità del distretto anatomico che coinvolge può comportare una grande quantità di sfumature, cliniche e di trattamento. Per questo si parla di disordini associati al colpo di frusta.
Il corso muove dall’anatomia e dalla biomeccanica del distretto cervicale per poi attraversare il meccanismo traumatico e la classificazione della patologia. Le opzioni di trattamento illustrate hanno origine dalle più recenti linee guida internazionali pubblicate.
 

Cliccando QUI potrai accedere a questo corso ECM FAD che potrai seguire ONLINE e del quale potrai scaricare o ricevere il certificato via email.

Il corso è così suddiviso:

  • CAPITOLO 1: ANATOMIA FUNZIONALE E BIOMECCANICA
  • CAPITOLO 2: DEFINIZIONE E CLASSIFICAZIONE
  • CAPITOLO 3: VALUTAZIONE INIZIALE
  • CAPITOLO 4: TRATTAMENTO
  • ALLEGATI:
    Allegato 01: Blanpied PR, Gross AR, Elliott JM, Devaney LL, Clewley D, Walton DM, Sparks C, Robertson EK. Neck Pain: Revision 2017. J Orthop Sports Phys Ther. 2017 Jul;47(7):A1-A83. doi: 10.2519/jospt.2017.0302. PMID: 28666405
    Allegato 02: Neck Pain Guidelines: Revision 2017: Using the Evidence to Guide Physical Therapist Practice J Orthop Sports Phys Ther. 2017 Jul;47(7):511-512.
    doi: 10.2519/jospt.2017.0507. PMID: 28666402.
    Allegato 03: Neck Pain: Clinical Practice Guidelines Help Ensure Quality Care. J Orthop Sports Phys Ther. 2017 Jul;47(7):513.
    doi: 10.2519/jospt.2017.0508. PMID: 28666400.

QUESTIONARIO DI VALUTAZIONE FINALE

La prova di apprendimento potrà essere effettuata al termine del corso, dopo aver seguito le lezioni.

La prova di apprendimento consisterà in un questionario composto da 60 domande a risposta multipla con 4 possibilità di risposta di cui una sola giusta.
La soglia di superamento prevista è del 75%. E’ prevista una doppia randomizzazione delle domande.

SONO POSSIBILI 5 TENTATIVI

Il corso darà diritto a ben 10  crediti ECM previo superamento del prova finale.


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IL PIEDE DEL BAMBINO – IL PIEDE PIATTO – ANATOMIA, BIOMECCANICA ED OPZIONI DI TRATTAMENTO

PIEDE PIATTO, QUANDO?


Quando l’arco plantare mediale è più basso della norma o completamente assente ci troviamo di fronte a un piede piatto che appoggia del tutto, o quasi, al suolo.

E’ una condizione che può essere presente dalla nascita oppure essere acquisita col tempo: chi ne soffre lamenta dolore alla caviglie, dolore alla ginocchia e iperpronazione.

Per una diagnosi corretta, sono molto spesso sufficienti l’esame obiettivo e l’anamnesi.
Il trattamento è strettamente legato alla severità della sintomatologia: per i casi meno gravi, può bastare una terapia conservativa; per i casi più gravi, è necessaria la chirurgia.

I piedi piatti sono una malformazione generalmente bilaterale; tuttavia, in alcune circostanze possono riguardare un piede soltanto.



I BAMBINI HANNO I PIEDI PIATTI?


I piedi piatti nei bambini sono una costante fino alla fanciullezza per almeno due motivi:

  1. L’arco plantare deve ancora svilupparsi;
  2. Nei piedi è presente una quantità di tessuto adiposo tale da rendere poco visibile la volta longitudinale interna.

E’ poi con la crescita che i bambini snelliscono maggiormente il piede e sviluppano l’arco plantare.


CAUSE


Il piede piatto può essere una condizione genetica, oppure acquisita col tempo, determinata da diversi fattori, tra cui:

  1. Traumi al piede o alla caviglia;
  2. Patologie neurologiche o neuromuscolari, come per esempio la spina bifida, la paralisi cerebraleo la distrofia muscolare;
  3. Patologie del tessuto connettivo, come la sindrome di Ehlers-Danlos o la sindrome da ipermobilità articolare;
  4. Un errore nella formazione delle ossa del piede, durante lo sviluppo uterino;
  5. L’obesità e il sovrappeso;
  6. L’artrite reumatoide;
  7. L’invecchiamento;
  8. Il diabete;
  9. Abitudini posturali errate;
  10. L’utilizzo di calzature inadeguate;
  11. Lunghi periodi di inattività;
  12. Uno stato di gravidanza. In questo caso, gli effetti sono temporanei.

VALUTAZIONE NEL BAMBINO


La valutazione del piede del bambino si basa su due pilastri portanti:

  1. ATTENTA ANAMNESI
  2. ETA’ DEL BAMBINO

In anamnesi, deve essere ricercata la eventuale familiarità per piede piatto o la presenza di patologie congenite o acquisite che possano determinare la comparsa della morfologia in piattismo.

Innanzitutto bisogna distinguere tra un piede piatto statico o rigido, ed un piede piatto dinamico, o flessibile.

Nel primo caso, è più probabile che il piattismo possa derivare da cause costituzionali o scheletriche.

Nel secondo caso, la familiarità per iperlassità legamentosa o per malattie neuromuscolari possono indirizzare l’osservazione verso valutazioni opportune.

Importante è indagare lo sviluppo psico–motorio del bambino dalla nascita fino al momento dell’osservazione.

Riguardo all’età del bambino, l’approccio, fermo restando un accurato esame obiettivo, è orientato dalle fasi dello sviluppo sapendo che il piede piatto flessibile mostra un’evoluzione spontanea positiva.

  • Entro i 3 anni di vita
  • Tra i 3 ed i 6 anni
  • Dai 6 anni fino alla pubertà
  • Dall’adolescenza fino alla maturità scheletrica


IL PIEDE DEL BAMBINO – IL PIEDE PIATTO. Approfondisci con un corso specialistico ECM FAD da 15 crediti


In questo corso ECM dal titolo IL PIEDE DEL BAMBINO – IL PIEDE PIATTO – ANATOMIA, BIOMECCANICA ED OPZIONI DI TRATTAMENTO

a cura delDott. Ivan Di Francescantonio illustra gli elementi utili per affrontare la condizione di piede piatto infantile. Il piede piatto è una condizione clinica di frequente osservazione durante lo sviluppo del bambino e presenta una storia naturale oggi ben conosciuta. Per questo, i professionisti che approcciano questi piccoli pazienti devono avere ben presente come comportarsi in base all’età del paziente ed al potenziale evolutivo della condizione. Prima di addentrarsi nelle varie opzioni di trattamento disponibili, ortesica, conservativa o chirurgica, il corso pone l’accento sulle peculiarità anatomiche e biomeccaniche del piede, una struttura complessa e multifunzionale 

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Il corso è così suddiviso:

Il corso è così suddiviso:

  • CAP 1 – Anatomia funzionale e biomeccanica
  • CAP 2 – Classificazione
  • CAP 3 – Valutazione iniziale
  • CAP 4 – Trattamento conservativo
  • CAP 5 – Cenni di trattamento chirurgico

QUESTIONARIO DI VALUTAZIONE FINALE

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CINEMATICA E DISFUNZIONI DI MOVIMENTO DELLA CORSA VALUTAZIONE, CLINICA E TRATTAMENTO EFFICACE

INTRODUZIONE


Nel bel mezzo dell’isolamento il mondo pare essersi accorto e appassionato alla camminata e alla corsa: è così che molte persone tra cui adulti, anziani, ragazzi e perfino bambini, hanno calzato le scarpe per mettersi letteralmente in movimento per la prima volta.

Ma se calzare un paio di scarpe e iniziare a camminare o correre può essere facile, non bisogna dimenticarsi di farlo in modo coscienzioso, dopo un adeguato controllo medico e un’adeguata preparazione per evitare fastidiose conseguenze.


CAMMINATA O CORSA? QUALI DIFFERENZE?


Ad un’analisi visiva siamo in grado di distinguere abbastanza facilmente le differenze tra la corsa e la camminata: la maggiore velocità e l’aumento delle forze di impatto e reazione al suolo sono il primo aspetto che notiamo.

Sicuramente possiamo notare che correre è un’attività ad alto rischio di infortunio: facile è incorrere almeno una volta in una lesione, soffrire di problemi al tendine di Achille o di dolori dovuti allo stress fisico, come la fascite tibiale o plantare, ossia delle infiammazioni a carico dei muscoli delle gambe o dei piedi.

La corsa richiede una dominante azione eccentrica di molti muscoli estensori dell’arto inferiore per ammortizzare gli impatti al suolo In generale, correre richiede maggior flessibilità e differenti attivazioni muscolari anche in funzione della velocità.



RUNNING E INFORTUNI


Gli studi sugli infortuni nel running presenti in letteratura mostrano risultati anche molto variabili in base a come viene definito “l’episodio infortunio”.

In generale possiamo dire che nella corsa di endurance la maggior prevalenza delle patologie è a carico dell’articolazione del ginocchio mentre nella corsa veloce la fanno da padroni gli infortuni muscolari, soprattutto agli harmstring, la patologia tendinea di caviglia e ginocchio è invece trasversale a tutte le discipline.


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MA PERCHE’ CI SI INFORTUNA?


Innanzi tutto si deve distinguere tra chi corre da meno di tre anni e chi invece lo fa da più di tre anni: i primi tendono a non dosare bene l’intensità e la durata, vengono da uno stile di vita sedentario e hanno una disfunzione della meccanica del movimento; i secondi, seppur più esperti, rischiano per cambiamento di scarpe e superfici, mancato dosaggio di distanza, intensità e velocità e un perdurare di una errata meccanica del movimento.


IN CASO DI INFORTUNIO, COSA VALUTARE?


  • Storia dell’infortunio e situazione attuale, ev. imaging
  • Volume e intensità d’allenamento, numero di gare
  • Utilizzo di scarpe, solette, ortesi
  • Situazione di stress fisico
  • C’è stato un cambiamento acuto che può essere messo in associazione con il tipo di infortunio
  • Può essere sufficiente riposare e nel frattempo rimuovere il fattore scatenante oppure è importante procedere ad una valutazione del gesto della corsa?

QUINDI?

Impostare un programma di riabilitazione efficace è lo scopo di questo corso attuando strategie che aiutino il giusto movimento e programma di allenamento.

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In questo corso ECM dal titolo CINEMATICA E DISFUNZIONI DI MOVIMENTO DELLA CORSA – VALUTAZIONE, CLINICA E TRATTAMENTO EFFICACE

a cura Dott. Davide Nappo si pone come obiettivo trattare a livello cinematico, biomeccanico, epidemiologico, clinico e riabilitativo le principali problematiche legate agli infortuni di soggetti che corrono e come impostare un programma di riabilitazione efficace

Cliccando QUI potrai accedere a questo corso ECM FAD che potrai seguire ONLINE e del quale potrai scaricare o ricevere il certificato via email.

Il corso è così suddiviso:

– Principali differenze tra corsa e cammino

– Fasi della corsa: appoggio e avanzamento dell’arto

– Analisi degli angoli e delle azioni muscolari fondamentali per l’azione di corsa

– Fattori di rischio per sviluppare infortuni durante la corsa

– Tipologie di appoggio e fattori di rischio

– Parametri cinematici della corsa: come possono essere utilizzati dal clinico per identificare disfunzioni e fattori di rischio

– Focus sulle calzature

– Esiste una cadenza ottimale per correre?

– Criteri di efficienza della corsa di endurance

– Funzioni motorie che intervengono nel gesto della corsa di endurance e la corsa veloce

– Come utilizzare un modello funzionale per valutare la corsa e le disfunzioni di movimento di soggetti che corrono

– Come utilizzare una batteria di test sistematici per individuare i fattori contribuenti alle alterazioni del gesto della corsa

– Come impostare un intervento di correzione del gesto della corsa: cosa dice la letteratura, strategie pratiche

– Utilizzo di feedback verbali di vario tipo

– Come attuare una strategia di correzione efficace in differenti condizioni patologiche

QUESTIONARIO DI VALUTAZIONE FINALE

La prova di apprendimento potrà essere effettuata al termine del corso, dopo aver seguito le lezioni.

La prova di apprendimento consisterà in un questionario composto da 45 domande a risposta multipla con 4 possibilità di risposta di cui una sola giusta.
La soglia di superamento prevista è del 75%. E’ prevista una doppia randomizzazione delle domande.
SONO POSSIBILI 5 TENTATIVI

Il corso darà diritto a ben 15  crediti ECM previo superamento del prova finale.


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DISFAGIA IN RSA. IL TRATTAMENTO DEL DISTURBO DELLA DEGLUTIZIONE IN ETA’ INVOLUTIVA.

INTRODUZIONE


Il periodo pandemico che stiamo vivendo ha riportato con forza alla ribalta il tema delle RSA che devono essere prima di tutto un luogo in cui la salute, serenità, benessere e dignità dell’uomo vengono rispettati nel quotidiano.

Nell’ottica di un benessere fisico ed emotivo si colloca la volontà di proteggere l’ospite dalle patologie che possono colpirlo e la disfagia è un sintomo molto frequente che una volta appurato coinvolge trasversalmente diverse figure professionali, rendendo necessario un intervento capillare e accurato.


COS’È LA DISFAGIA?


È una condizione pervasiva e potenzialmente mortale che può emergere da una molteplicità di patologie, tra cui quelle neurologiche sottostanti alla deglutizione, che colpiscono il sistema neuronale, motorio e sensoriale. Il disturbo deglutitorio può essere presente in tutte le fasi del processo, pertanto può compromettere la masticazione, i movimenti della lingua, il riflesso di deglutizione (ritardato o debole), la chiusura glottica (parziale o nulla), la presenza di residui nel canale orofaringeo, ecc.

Il concetto di disfagia include anche un’alterazione di “atti comportamentali, sensoriali e motori preliminari in preparazione alla deglutizione; la consapevolezza cognitiva della situazione che introduce l’alimentazione, il riconoscimento visivo del cibo, e tutte le risposte fisiologiche stimolate dall’olfatto e dalla visione del cibo”.

Inoltre, nella fase preparatoria ed orale il danno motorio può rendere difficoltose l’organizzazione, la masticazione e la propulsione del bolo; il danno sensoriale può produrre “confusione” gustativa e mancanza di riconoscimento del cibo.



ANAMNESI


Prima di presentarsi al paziente, il professionista prende visione del suo stato oggettivo in anamnesi e documentazione medica, che può essere ricercata in cartella clinica (cartacea e/o digitalizzata), nella storia raccolta dai care-givers e dalle altre fonti attendibili in possesso dall’equipe.

Gli aspetti più rilevanti nell’interesse logopedico sono i seguenti, disposti a seconda della piramide dei bisogni:

  • Nutrizione per bocca o nutrizione artificiale
  • Pregressi episodi di soffocamento/ab ingestis e dieta in corso
  • Dentizione e rilevanti danni a porzioni del vocal tract
  • Dati sanitari oggettivi di interesse alimentare
  • Dati generici
  • Dati di interesse comunicativo

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ASSISTENZA NELLA GESTIONE DELLA DISFAGIA


Per rendere al massimo la capacità della deglutizione, è necessario fornire delle indicazioni sugli ausili e sulle posture adeguate all’ospite. Di queste ne esistono diverse, studiate nella disabilità e nella riabilitazione da stroke.

Tuttavia, sono state selezionate solo alcune che più frequentemente possono essere utilizzate nell’anziano, poiché la sua capacità motoria generalmente non rende facile l’applicazione di tutte le misure cautelari possibili.

L’intervento è finalizzato alla rieducazione ad una corretta deglutizione attraverso un piano individuale.


UN LAVORO DI EQUIPE


Multidisciplinarietà e integrazione delle competenze sono richieste nel tipo di intervento che si può attuare per la disfagia nell’anziano: vi sono il foniatra, l’otorinolaringoiatra, il gastroenterologo, il logopedista, il dietista, il nutrizionista, per arrivare al neurologo, al fisiatra, al geriatra, allo pneumologo e al neuropsicologo.

Il giusto dialogo e la costruzione di tabelle condivise puà aiutare ad arrivare se non alla completa risoluzione del problema, almeno ad una situazione meno delibitante.

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In questo corso ECM dal titolo DISFAGIA IN RSA. il trattamento del disturbo della deglutizione in età involutiva

a cura Dott. Giacomo Seccafien e del Dott. Riccardo Cuzzolin si pone l’obiettivo di far acquisire una conoscenza attorno al concetto di “Disfagia”, tale per cui essa venga riconosciuta come sintomo od evidenza clinica, e si sappia alla pari trattarla a livello alimentare nel rispetto della sicurezza del paziente e del mantenimento del benessere legato al pasto.

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Il corso è così suddiviso:

1 – VERSO UNA DEFINIZIONE DI DISFAGIA: CARATTERISTICHE E REGOLE GENERALI
– Cos’è la disfagia: cause e sintomi
– Evidenze cliniche e regole generali
– La consistenza degli alimenti e dei liquidi
– La verifica in emergenza
– Interventi di emergenza
– Tipi di nutrizioni artificiali

2 – L’IMMEDIATA E PREVENTIVA MESSA IN SICUREZZA DELL’OSPITE
– Nutrizione per bocca o nutrizione artificiale
– Pregressi episodi di soffocamento/ab-ingestis e dieta in corso

3 – LA VALUTAZIONE ANAMNESTICA E LE EVIDENZE
– Dentizione e rilevanti danni a porzioni del vocal tract
– Dati sanitari oggettivi di interesse alimentare
– Dati di interesse logopedico all’ingresso, alla prima rilevazione o al confronto con tecnici e professionisti
– Dati di interesse comunicativo (sensoriale, cognitivo e motorio)

4 – LA VALUTAZIONE STRUMENTALE
– Valutazione dello stato orale
– Valutazione oggettiva della disfagia e prima stesura di dieta
– Calcolo dell’IMC/BMI
– Uso di ausili e posture nel pasto e presentazione del piatto
– Valutazione delle risorse, condivisione col team di lavoro e seconda stesura della lista mensa
– Prognosi di riabilitazione alla disfagia e variazioni immediate
– Stato uditivo
– Consulto con psicologo ed equipe il quadro cognitivo e caratteristiche di eventuale demenza

5 – LA CONDIVISIONE DI UN PIANO RISPETTOSO DELLE LINEE GUIDA MA ANCHE DEL BENESSERE DELL’OSPITE
– Tabelle alimentari condivise
– Tabelle di monitoraggio di un trattamento
– Tabelle di Frequenza
– Tabella di gradimento delle pietanze

6 – IL TRATTAMENTO RIABILITATIVO DELLA DISFAGIA E SUE COMPENSAZIONI
– Trattamenti riabilitativi legati alla disfagia
– Integrazione malnutriti e disidratati
– Supervisione alla dieta ed al pasto
– Trattamento della stipsi
– Stimolazione sensoriale gustativa in NA definitiva
– Igiene orale e manutenzione protesi
– Indagine e trattamento IRPAI per rifiuto al pasto

7 – IL FOLLOW-UP
– In itinere: progresso dei risultati
– Dopo un periodo stabilito: verifica del mantenimento degli obiettivi raggiunti
– Revisione, mantenimento o aggiornamento delle diete e di altre indicazioni
– Monitoraggio della terapia indiretta

8 – CONSIDERAZIONI E CONCLUSIONI
Il rifiuto del pasto

QUESTIONARIO DI VALUTAZIONE FINALE

La prova di apprendimento potrà essere effettuata al termine del corso, dopo aver seguito le lezioni.

La prova di apprendimento consisterà in un questionario composto da 30 domande a risposta multipla con 4 possibilità di risposta di cui una sola giusta.
La soglia di superamento prevista è del 75%. E’ prevista una doppia randomizzazione delle domande.
SONO POSSIBILI 5 TENTATIVI

Il corso darà diritto a ben 10  crediti ECM previo superamento del prova finale.


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TROMBOSI DELLA VENA CENTRALE DELLA RETINA. Dalla teoria alla pratica clinica.

DI COSA SI TRATTA?


E’ una patologia vascolare che può portare alla cecità, la più comune dopo la retinopatia diabetica.
Si riconosce per le emorragie retiniche diffuse e l’aspetto tortuoso e dilatato delle vene.
Colpisce la popolazione sopra i 50 anni, ma negli ultimi anni si segnala un forte aumento dei casi anche sotto i 40 anni!


QUALI FORME ESISTONO?


Le trombosi venose posso riguardare tutta la vena centrale o soltanto una parte di essa, ne esistono diverse forme date da:

  • edema: iniziano lentamente completandosi entro 10 giorni;
  • ischemia: iniziano i maniera repentina provocando l’insorgenza di membrane neovascolari formate da capillari patologici, che potrà portare a glaucoma;
  • forme miste: tipiche dei soggetti con ipertensione arteriosa;
  • forme del giovane: in genere basta la terapia farmacologica, ma possono esserci delle recidive.

Nelle occlusioni di branche della vena centrale della retina in genere è necessario intervenire col laser al fine di evitare complicazioni, glaucomi ed emorragie.



TERAPIA


La terapia farmacologica cura i fattori di rischio una volta individuati.

La terapia medica locale gestisce le complicanze tramite colliri, Fans e cortisonici.

La terapia fisica si avvale del laser ad argon e cerca di gestire le complicanze, quali ischemia retinica periferica con proliferazione neovascolare e edema maculare in TVBR.

Il corso approfondisce le metodiche strumentali più utilizzate attualmente, soffermandosi sulle cure più efficaci che hanno preso piede negli ultimi anni.


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COVID-19 E TROMBOSI RETINICA


Nell’analizzare i vari casi, si prendono in esame anche le correlazioni di una risposta iperinfiammatoria che può scatenare il covid-19, portando ad occlusioni in zone inusuali come quelle retiniche.

Prendere in considerazione una precoce terapia anticoagulante in soggetti a rischio affetti da covid-19 potrebbe prevenirne l’insorgenza.

TROMBOSI DELLA VENA CENTRALE DELLA RETINA. Dalla teoria alla pratica clinica DI COSA SI TRATTA?. Approfondisci con un corso specialistico ECM FAD da 10 crediti


In questo corso ECM dal titolo TROMBOSI DELLA VENA CENTRALE DELLA RETINA. Dalla teoria alla pratica

a cura della a cura della dott.ssa Francesca Fronticelli Baldelli si pone l’obiettivo di dare rivedere brevemente i tratti distintivi della trombosi retinica, passando attraverso l’evoluzione negli anni dell’iter diagnostico e approfondendo le metodiche strumentali più utilizzate attualmente. Valutazione di alcuni casi clinici “classici” per capire come affrontare nella pratica clinica la problematica. Focus on ciò che è capitato e sta capitando nell’ultimo anno: la correlazione sempre più emergente tra infezione da Covid-19 e l’insorgenza di patologie trombotiche anche a localizzazione retinica.

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Il corso è così suddiviso:

1) Definizione e quadro clinico
2) Complicanze più importanti
3) Popolazione interessata
4) Fattori predisponenti
5) Forme cliniche :
– OVC ischemica
– OVC non ischemica
6) Approccio diagnostico
7) Istologia e fisiopatologia
8) Sintomatologia
9) Valutazione iniziale
10) Decorso e prognosi
11) Occlusione venosa retinica di branca
12) Complicanze edema maculare non ischemico
13) Complicanze edema maculare ischemico
14) Trattamento laser delle edema maculare
15) Terapia:
– Introduzione
– Trattamento medico TVCR:
a) triamcinolonone
b) Ozurdex
c) AntiVegf:
d) Ranimizumab
e) Bevacizumab
f) Aflibercept
16) Terapia medica TVBR:
– laser
– corticosteroidi
– antiVegf
– Ranimizumab
– Bevacizumab
– Aflibercept
17) Terapia medica: Real Life
18) FAG
19) OCT strutturale
20) AngioOCT e occlusioni vascolari
21) Casi clinici:
– I TROMBOSI DI BRANCA
– II TVCR
– III TVCR
– IV TVBR
22) COSA C’È DI NUOVO OGGI
23) CORRELAZIONE TRA COVID-19 DISEASE E TROMBOSI RETINICA: CASI CLINICI
BIBLIOGRAFIA
QUESTIONARIO DI VALUTAZIONE FINALE

La prova di apprendimento potrà essere effettuata al termine del corso, dopo aver seguito le lezioni.

La prova di apprendimento consisterà in un questionario composto da 45 domande a risposta multipla con 4 possibilità di risposta di cui una sola giusta.
La soglia di superamento prevista è del 75%. E’ prevista una doppia randomizzazione delle domande.
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IL PIEDE DEL BAMBINO – Il piede piatto

INTRODUZIONE


Il piede piatto è una condizione clinica di frequente osservazione durante lo sviluppo del bambino e presenta una storia naturale oggi ben conosciuta. Per questo, i professionisti che approcciano questi piccoli pazienti devono avere ben presente come comportarsi in base all’età del paziente ed al potenziale evolutivo della condizione.

Prima di addentrarsi nelle varie opzioni di trattamento disponibili, ortesica, conservativa o chirurgica, il corso pone l’accento sulle peculiarità anatomiche e biomeccaniche del piede, una struttura complessa e multifunzionale


IL PIEDE


Il piede possiede una struttura complessa, dinamica e multifunzionale.

Durante l’evoluzione umana è il segmento che ha subito i maggiori adattamenti e rappresenta uno dei cardini principali per differenziarci sulla linea evolutiva sviluppando delle caratteristiche peculiari per ottimizzare la postura eretta statica e dinamica, gestendo un continuo compromesso tra le esigenze di adattamento al terreno e quelle di propulsione energeticamente efficace.



LO STUDIO BIOMECCANICO


Lo studio biomeccanico del piede ha affrontato la complessità propria di questa struttura con molti approcci diversi nel corso degli anni.

Per molto tempo, il piede è stato considerato una struttura statica, deputata al ruolo di sostegno antigravitario e per questo studiato con criteri meccanici, quasi architettonici. Solo con il tempo e le acquisizioni scientifiche si è passati ad analizzare la struttura e la funzione del piede attraverso criteri più anatomici, comunque legati ad una geometria ben definita, sempre statica.

Solo negli ultimi 40 anni i concetti di cinetica, e di equilibrio muscolare hanno cominciato a fare capolino, riconoscendo un ruolo attivo e dinamico nella conformazione della struttura del piede.

Infine è stata la Scuola italiana con gli studi di Pisani, Paparella Treccia e Ronconi a riconoscere finalmente al piede il suo ruolo di servomeccanismo di controllo attivo della gravità all’interno di un sistema complesso di assorbimento del carico di tipo senso-motorio.


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IL PIEDE PIATTO


Quella del “piede piatto” è ancora oggi una definizione irrisolta.

Non è possibile identificare in questi termini un’entità nosologica precisa ma piuttosto ci si può riferire ad una manifestazione clinica alla quale possono sottendere diverse cause. Non esistono infatti, parametri universalmente accettati che possano aiutarci a definirlo in un modo, diciamo così, matematico.

In linea di massima, la definizione nasce dalla descrizione morfologica del piede in carico, oltre che dalla sua condizione anatomopatologica. In questi termini, è possibile definire il piede piatto come: “Un dismorfismo del piede caratterizzato dall’abbassamento della volta plantare e dalla deviazione in valgo del retropiede”


LA CLASSIFICAZIONE DEL PIEDE PIATTO


La classificazione del PPVI si basa sull’osservazione dell’impronta plantare al podoscopio. Questo strumento permette di studiare la conformazione dell’impronta statica ed in carico corporeo, situazione che, come sappiamo, determina l’abbassamento della volta plantare in questo tipo di piede. Lo strumento permette di valutare anche le eventuali deviazioni del calcagno, osservate da dietro.

Pisani, infatti, ci insegna che un “ispettivo piattismo” non determina necessariamente un appiattimento dell’arco, ma che un calcagno valgo può far sembrare piatto un piede in effetti cavo.

TIPI DI TRATTAMENTO

– CON ORTESI PLANTARI
Il trattamento ortesico deve affrontare i momenti patogenetici che si sviluppano tra calcagno ed astragalo e nella coxa pedis e che portano alla mancata strutturazione dell’arco longitudinale plantare

– LA FISIOKINESITERAPIA
La fisiokinesiterapia da sola o contestualmente all’uso di ortesi plantari punta a modificare la posizione di valgismo del retropiede e ripristinare il fisiologico arco longitudinale mediale.

– LAVORO ARTICOLARE
Se si osserva un aumento della rigidità secondario alla brevità del tendine d’achille, si possono integrare alcuni esercizi di stretching nella sessione riabilitativa.
Lo scopo dello stretching è:
✓Ridurre la rigidità
✓Incrementare il rom articolare
✓Incrementare la lunghezza del complesso muscolo-tendine

– L’APPROCCIO CHIRURGICO
La via chirurgica per la correzione del piede piatto flessibile è un approccio relativamente raro. Secondo i diversi Autori, infatti, va incontro a correzione chirurgica una percentuale di pazienti che va dal 2% al 15%. Questo perché nell’approcciarsi alla chirurgia, va considerato come un piede che sia solo morfologicamente piatto spesso non presenti alcun tipo di disturbi funzionali e sia quindi ben tollerato dal paziente.


IL PIEDE DEL BAMBINO – IL PIEDE PIATTO. Approfondisci con un corso specialistico ECM FAD da 15 crediti


In questo corso ECM dal titolo IL PIEDE DEL BAMBINO – IL PIEDE PIATTO. Anatomia biomeccanica ed opzioni di trattamento

a cura della Dott. Ivan Di Francescantoniosi pone l’obiettivo di dare llustrati gli elementi utili per affrontare la condizione di piede piatto infantile.

Il corso è così suddiviso:

CAP 1 – Anatomia funzionale e biomeccanica
CAP 2 – Classificazione
CAP 3 – Valutazione iniziale
CAP 4 – Trattamento conservativo
CAP 5 – Cenni di trattamento chirurgico
TEST DI VALUTAZIONE FINALE

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