La Tendinopatia Achillea

Anatomia biomeccanica e approcci al trattamento

Si definisce Tendine d’Achille (o tendine calcaneale) il tendine congiunto composto dalle fibre provenienti dal capo mediale e dal capo laterale del Muscolo Gastrocnemio e dal muscolo Soleo (Tricipite della sura). (Leggi anche questo articolo)

La denominazione “tendine d’achille” si deve al chirurgo olandese Philip Verheyen che, nel 1693, sostituì quella allora in uso di “Tendine magno di Ippocrate”. 

È il tendine più robusto del corpo umano, oltre ad essere uno dei più lunghi. È infatti lungo circa 15 cm (range 11 – 26 cm) ed ha uno spessore che varia durante il suo decorso. È in grado di sopportare carichi che vanno da un’intensità di circa 1 – 6 volte il peso del corpo durante attività come il salto o la pedalata fino a 12.5 volte il peso del corpo durante la corsa. 

L’intensità di carico, unita a caratteristiche meccanico-strutturali e di complessità del distretto anatomico, rendono il tendine d’Achille suscettibile di infortuni, sia di natura acuta che cronica, direttamente o come implicazione in quadri patologici o disfunzionali della caviglia o del piede. 

Il tendine d’Achille mostra un’anatomia complessa: 

  • Rappresenta la congiunzione delle fibre tendinee di tre muscoli, con il piccolo ma importante contributo, sia funzionale che patologico, di un quarto. 
  • Il complesso gastro – soleo si estende dai condili femorali al calcagno. Sormonta tre articolazioni, essendo coinvolto a vario grado nel movimento di ognuna di esse. 
  • Comprende alcune borse sinoviali ed un cuscinetto adiposo. 
  • Manca di una guaina sinoviale.
  • Presenta un’area relativamente avascolare.
  • Presenta un’inserzione distale ampia, meccanicamente complessa.

Alla giunzione miotendinea, il tendine d’achille è largo e piatto. 

Procedendo distalmente, la sezione trasversa assume una forma ovoidale fino a circa 4 cm dall’inserzione, dove torna ad essere nastriforme. 

All’origine, presenta uno spessore di circa 6.8 cm (range 1.5 – 8.6 cm) per poi assottigliarsi nella sua porzione media, dove raggiunge uno spessore di circa 1.8 cm (range 1.2 – 2.6 cm). Torna ad essere più spesso scendendo verso il calcagno, prima di espandersi a delta per trovare inserzione sulla tuberosità. 

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Biomeccanica del tendine d’Achille


Le proprietà meccaniche di un tessuto biologico si possono desumere dall’analisi della curva tensione – deformazione L’energia immagazzinata è legata all’ampiezza dell’area sottesa a tale curva. 

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I fattori che influenzano l’immagazzinamento ed il successivo rilascio di energia da parte di un tendine comprendono lo stato del tessuto, la lunghezza del tendine e la durata dell’applicazione del carico. 

Importante è la composizione del tendine, lo spessore delle fibrille base ed il loro orientamento. 

Fattore chiave nella determinazione della risposta elastica del tendine d’achille è la spiralizzazione delle fibre che, avvolgendosi di 90° permettono una risposta più rapida, e forniscono un vantaggio meccanico concentrando lo stress in un’area ridotta. 

La curva tensione – deformazione del tendine si divide in tre regioni: 

  • Toe region: Non lineare, il tendine viene stirato facilmente, la forza richiesta per indurre la deformazione è modesta. 
  • Linear region: Lineare, a decorso ripido. Per aumenti anche notevoli della tensione, il tendine subisce piccole deformazioni. 
  • Failure: Termina con la rottura del tendine. Sopraggiunge alla disgregazione dei legami intra ed intermolecolari del collagene con conseguente slaminamento. 

Le fibre collagene, inizialmente rilassate, con l’applicazione del carico incrementano la loro lunghezza e si mostrano maggiormente allineate. (2% di stiramento, toe region) 

Incrementando il carico, le fibre lo assorbono aumentando solo impercettibilmente lo stiramento. Quando il carico viene rimosso ed il tendine torna alla sua lunghezza di riposo, si comporta istereticamente, seguendo una rampa diversa da quella di salita, ad un livello più basso. La riduzione dell’area sottesa alla curva, è la misura dell’energia dissipata sotto forma di calore durante il ciclo di carico – scarico. 

La rottura avviene a circa l’8 – 10% di stiramento, tipicamente in area critica piuttosto che all’inserzione. 

La Tendinopatia

Il termine TENDINOPATIA è stato introdotto da Maffulli nel 1998. Ha superato e sostituito altri termini quali Tendinite e Tendinosi, utilizzati fino ad allora per indicare la patologia ma non corretti.

La Tendinopatia è infatti una Sindrome clinica caratterizzata da un insieme di dolore, gonfiore e limitazione funzionale

Tendinopatia: Sindrome clinica caratterizzata da un insieme di dolore, gonfiore e limitazione funzionale

Riguardo alla localizzazione, si distingue come segue:

  • Tendinopatia inserzionale:Riguarda l’inserzione calcaneare del tendine d’achille estendendosi prossimalmente fino a 2 cm.
  • Tendinopatia non – inserzionale: Riguarda la porzione del tendine compresa tra i 2 ed i 7 cm prossimalmente all’inserzione calcaneare.

La tendinopatia inserzionale del tendine d’achille è localizzata all’inserzione calcaneare del tendine ed è caratterizzata dalla formazione di speroni ossei o da calcificazioni tendinee.

Si manifesta con dolore, rigidità e con gonfiore di consistenza solida. La porzione centrale dell’inserzione calcaneare del tendine è dolente alla palpazione diretta, il gonfiore è visibile e lo sperone osseo è palpabile

Risulta ormai chiaro che la tendinopatia inserzionale dell’achilleo non sia classificabile come infiammatoria.

La tendinopatia non inserzionale del tendine d’achille è localizzata in una zona compresa tra i 2 ed i 7 cm dall’inserzione calcaneare.

È una “sindrome” clinica, che combina dolore, gonfiore e limitazione funzionale. Il gonfiore,tipicamente nodulare, può essere anche diffuso. È identificata come patologia isolata del tessuto tendineo. A livello Istopatologico, si rileva tendinosi.

Il termine tendinosi descrive la degenerazione cronica intratendinea caratterizzata da aggregati disorganizzati di fibre collagene, degenerazione mucoide, calcificazioni ed alterazioni vascolari. Non è necessariamente sintomatica ed implica l’assenza di segni infiammatori intratendinei.

La tendinopatia achillea, pur mostrando piccole differenze in base alla porzione di tendine interessata, è tipicamente da sovraccarico.

La risposta ad una sollecitazione soprafisiologica determina l’insorgenza di fenomeni specifici a livello delle strutture peritendinee, nel corpo del tendine, o di entrambi.

Le tendinopatia non inserzionale non riconosce una alterazione precisa di origine infiammatoria o degenerativa.

Il Trattamento Riabilitativo

La tendinopatia inserzionale raggruppa dal 20 al 25% dei pazienti affetti da tendinopatia achillea, mentre la tendinopatia non inserzionale ne coinvolge dal 55% al 65%.

Gli elementi da pesare nella costruzione dell’approccio riabilitativo sono:

  • La tipologia dei pazienti: I pazienti si distribuiscono in due categorie di soggetti difformi tra loro, quelli giovani ed attivi e quelli più anziani, tendenzialmente sedentari. La risposta al trattamento è diversa.
  • L’interdipendenza regionale: Il tendine d’achille, con i muscoli che lo compongono, solca tre articolazioni, il ginocchio, la tibiotarsica e la sottoastragalica. Può quindi influenzare o subire influenze della funzionalità di ognuna di esse. “L’organo entesico” può presentare alterazioni responsabili della patologia in ognuno delle sue componenti, ossea (Pump-Bump), fibrocartilaginea, bursale.
  • Specificità istopatologiche: La paratendinopatia mostra caratteristiche di tipo infiammatorio, mentre la patologia intratendinea è di tipo degenerativo. Le due entità vanno comunque intese come un continuum nel processo patologico della tendinopatia.

Cook e Purdam hanno descritto la tendinopatia come un continuum che attraversa tre stadi specifici:

  1. Fase Reattiva : Caratterizza la riposta del tendine ad un incremento repentino di carico o ad un trauma. Non è una risposta tipicamente infiammatoria. Il gonfiore sembra dovuto ad imbibizione della matrice ma senza la presenza di cellule infiammatorie. La struttura del tendine resta intatta, se non per minime modificazioni delle fibrille collagene e dell’organizzazione della matrice. È un processo reversibile. Secondo gli Autori rappresenta un “Adattamento a breve termine al sovraccarico che ispessisce il tendine, ne riduce lo stress e ne aumenta la rigidità”
  2. Fase di degradazione: Segue la fase reattiva se non cessa il sovraccarico. È simile, ma comporta un maggior danno a carico della struttura tendinea e della matrice collagenica. Si rileva neovascolarizzazione e neoinnervazione.
  3. Fase Degenerativa: È la risposta al sovraccarico cronico. L’interessamento si estende all’intera struttura tendinea. Si trova disorganizzazione del collagene e della matrice. Aumentano neovascolarizzazione e neoinnervazione. Il tendine è ispessito e nodoso ed è concreto il rischio di rottura.

Il trattamento dipenderà dalla fase in cui versa il paziente. Sebbene gli obiettivi del processo riabilitativo restino gli stessi, metodi e strumenti devono essere adattati alla stadiazione della tendinopatia.

Le opzioni di trattamento sono varie, ma l’obiettivo è unico e relativamente semplice. Migliorare la capacità del complesso muscolo – tendineo di sopportare il carico.

In fase riabilitativa infatti, muscolo e tendine vengono considerati e gestiti per quello che sono, cioè un’unica unità funzionale.

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